
Piacenza è stata scossa da un caso che ha sollevato polveroni e interrogativi. Tutto ha avuto inizio con una denuncia che potrebbe sembrare una di tante, ma che ha portato alla scoperta di un sistema ben più complesso e inquietante. Al centro di questa storia, il primario di Radiologia, Emanuele Michieletti, che a sessant’anni si trovava a capo di un reparto apparentemente tranquillo. Ma le apparenze, come spesso accade, ingannano.

La denuncia, partita da una dottoressa sconvolta, ha acceso i riflettori su una serie di eventi che sembrano usciti da un racconto noir. Le indagini, condotte con discrezione dalla squadra mobile, hanno rivelato un modus operandi che non lascia spazio a dubbi: telecamere nascoste nello studio del primario hanno registrato oltre trenta episodi di violenza in appena un mese e mezzo. Non si tratta di eventi isolati, ma di un vero e proprio sistema predatorio.
Un Reparto in Silenzio e la Paura che Blocca
Le vittime, tra cui dottoresse e infermiere, vivevano in un clima di soggezione e timore. Non solo per le violenze fisiche, ma anche per un ambiente che si era trasformato in una rete di omertà. Qualcuno sapeva, qualcuno parlava, ma nessuno sembrava ascoltare davvero. In questo contesto, emergono storie di denunce ritirate per paura di ripercussioni, di colleghi che suggerivano come comportarsi, di un potere che sembrava inarrivabile.

La figura di Michieletti, ben conosciuta anche grazie ai media locali, si staglia come quella di un uomo che ha saputo sfruttare la sua posizione per creare un regno di terrore e manipolazione. Ma ora, con l’intervento della magistratura, il muro di silenzio sta iniziando a sgretolarsi.
Le Conseguenze e l’Urgenza di Reagire
Con l’accusa di stalking e molestie, le conseguenze per Michieletti si fanno sempre più pesanti. Le colleghe raccontano di essere state convocate con l’altoparlante dell’ospedale, di vivere in uno stato di costante minaccia. Le azioni legali dell’Ausl di Piacenza sono in fase di valutazione, ma già si parla di una possibile costituzione di parte civile nel processo.
Le associazioni professionali prendono posizione, sottolineando l’importanza di denunciare e non cedere alla paura. Ester Pasetti e Filippo Anelli rimarcano come, troppo spesso, le donne si trovino in condizioni di inferiorità anche quando sono la maggioranza. Questo caso, seppur drammatico, potrebbe diventare il catalizzatore per un cambiamento atteso da tempo.