«Abbiamo sperato per tutto il giorno che il bambino non fosse in acqua». Con voce ferma ma visibilmente scossa, il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Venezia, Carlo Metelli, ripercorre le ore di ricerche disperate per Carlo, il bimbo di sei anni scomparso l’11 agosto tra le onde di Cavallino-Treporti. La speranza, però, si è infranta nella notte, quando i sommozzatori lo hanno ritrovato senza vita, adagiato a circa due metri di profondità, vicino a un frangiflutti, a cento metri dalla riva.
L’operazione si è svolta in condizioni difficili, complicate dalla torbidità delle acque e dalla vastità dell’area da perlustrare. A fare la differenza è stato il sonar montato su un battello, che ha agito come uno scandaglio sottomarino. «Era come mettere al lavoro un paio d’occhi sotto la superficie — spiega Metelli — le immagini apparivano su uno schermo, poi tre sommozzatori si sono immersi per verificare».
Il sonar, una sorta di radar subacqueo simile a quello usato sui sommergibili, ha permesso di interpretare sagome e movimenti in tempo reale. «L’area era vasta, l’acqua opaca. Abbiamo lavorato fianco a fianco con la guardia costiera, le forze dell’ordine e i bagnini», continua il comandante. Ogni metro di fondale è stato setacciato, ogni speranza alimentata.

Il tragico ritrovamento è avvenuto alle 2.40 di notte. «Era adagiato sul fondale, non incastrato da nulla», racconta Metelli. Il dispositivo di soccorso ha coinvolto ogni risorsa disponibile: moto d’acqua, elicotteri della polizia e della capitaneria, sommozzatori coordinati dall’ispettore Bruno Musolino. Una macchina umana e tecnologica attivata in poche ore.
La madre del piccolo aveva lanciato l’allarme nel pomeriggio, quando Carlo era sparito mentre faceva il bagno davanti alla spiaggia di Ca’ Pasquali. «Ha commosso la catena umana che si è formata per cercarlo — ricorda il comandante — tutti si sono mobilitati, turisti compresi. I sorvoli in elicottero non si sono mai fermati».
Durante la giornata, nonostante il passare delle ore, la speranza non si è mai spenta del tutto. Bagnanti, soccorritori, volontari, tutti hanno lottato contro il tempo e la paura. Ogni minuto poteva fare la differenza. Ma il mare, impassibile, non restituiva risposte. Solo silenzio.

Alla domanda se si possa mai abituarsi a queste tragedie, Metelli risponde con un gesto netto: «No, mai. Soprattutto quando ci sono dei bambini. Durante le ricerche si spera sempre, fino all’ultimo. E qualcosa, dentro, resta. Nel pensiero e nell’anima».
Il mare era calmo fino al tardo pomeriggio, quando il vento ha cominciato a crescere. Non abbastanza da fermare la macchina dei soccorsi, che ha continuato a operare senza sosta. Ma abbastanza da ricordare quanto possa essere fragile la linea che separa la normalità dalla tragedia.
Il nome di Carlo si aggiunge, purtroppo, alla lista delle piccole vittime del mare. Ma il suo ricordo rimarrà inciso nella memoria di chi ha lottato, sperato e pianto per lui. Un’intera comunità, unita nel dolore, che ha imparato ancora una volta quanto la vita possa essere preziosa e imprevedibile.