La notizia arriva da fonti autorevoli come La Repubblica e La Stampa e sta già sollevando polemiche: il governo italiano non intende farsi carico delle spese per il rientro degli attivisti della Global Sumud Flotilla, arrestati nelle scorse ore dalla marina israeliana a poche miglia da Gaza ed espulsi verso l’Italia.
La linea è chiara: assistenza diplomatica e consolare sì, ma nessun intervento economico per coprire i costi del rimpatrio. «Dovranno farsene carico gli attivisti», trapela dai palazzi romani, dove non è stato predisposto alcun volo charter da parte della Farnesina.
Secondo quanto ricostruito dai due quotidiani, la premier avrebbe seguito in diretta la rotta della Flotilla sul proprio iPhone mentre si trovava a Copenaghen per il Consiglio europeo informale. Una partecipazione a distanza, descritta come attenta e costante, che tuttavia non ha mutato la decisione di fondo: l’Italia non coprirà le spese di viaggio per chi ha scelto di partecipare a quella che viene considerata una missione a rischio e politicamente controversa.
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Il governo rivendica comunque un risultato positivo. L’aver evitato che i connazionali finissero dietro le sbarre israeliane viene giudicato un successo, frutto di un’azione diplomatica rapida che ha consentito il trasferimento degli attivisti dal mare al porto di Ashdod, la loro identificazione e il successivo avvio delle procedure di espulsione. Una gestione che, a detta della maggioranza, ha permesso di contenere una vicenda potenzialmente esplosiva.

Il calendario dei rientri è già stato fissato: i rimpatri volontari cominceranno venerdì 3 ottobre, mentre per quelli forzati si parla di domenica 5. Ma la precisazione resta: i biglietti saranno a carico diretto dei passeggeri. Una scelta che rompe con prassi passate, quando in situazioni di crisi internazionali lo Stato aveva spesso predisposto voli speciali per riportare a casa i propri cittadini.
Dal governo, però, si insiste: «Non è una vendetta». La decisione va interpretata come un segnale politico, una presa di distanza da iniziative che – sottolineano fonti vicine a Fratelli d’Italia – «non possono ricevere alcuna forma di sostegno istituzionale» perché ritenute, nelle loro motivazioni, vicine alla propaganda di Hamas. Una posizione che divide l’opinione pubblica e promette di alimentare nuove discussioni sul confine tra libertà di iniziativa individuale e responsabilità dello Stato nei confronti dei propri cittadini all’estero.