“Ma quale pace a Gaza? Trump ci ha imbrogliato!”. Iacchetti torna in tv ed è subito caos

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In diretta televisiva, Iacchetti ha dichiarato: “Secondo me questa pace è solo una firma di Donald Trump. Stanno tornando a casa, ma dove? C’è chi dice che è tutto finto, che Trump ha fatto costruire questi edifici ridotti così dai droni. Secondo me, con il primo fiammifero che si accende, riparte tutto quanto.”

Una frase d’impatto, pronunciata con la consueta veemenza e un tono visibilmente carico di tensione, che ha lasciato spiazzati anche gli altri ospiti in studio. Le parole del noto comico e conduttore si sono inserite in un clima già rovente, reso tale dalle recenti polemiche scoppiate dopo il suo precedente scontro verbale con un rappresentante del mondo pro-Israele.

Il contesto dello scontro televisivo

Iacchetti tv Trump Gaza

L’episodio si inserisce in un contesto già teso, dopo la recente lite — molto seguita — tra Iacchetti e Eyal Mizrahi, presidente della Federazione Amici di Israele, avvenuta durante la puntata di Cartabianca dedicata alla guerra a Gaza. In quel confronto, le accuse reciproche e il livello verbale hanno superato i confini del dibattito consueto.

Dopo la lite, Iacchetti ha ribadito più volte di non avere rimorsi: “Se dovessi tornare stasera, direi le stesse cose, dalla prima all’ultima parola.” Alla replica difensiva di Mizrahi, che lo aveva accusato di fare affermazioni infondate, Iacchetti ha risposto in modo altrettanto deciso, confermando il suo orientamento netto contro le operazioni militari che ritiene ingiustificate.

Il ritorno dello showman nella puntata successiva è stato accompagnato da una dichiarazione programmatica: “Non sono un violento, alzo la voce ma non le mani.” Ha rivendicato il diritto di intervenire con passione su temi che — a suo avviso — non ammettono ambiguità: quando si parla di violazioni dei diritti umani, sostiene, il semplice contraddittorio può diventare una forma di complicità.

Le parole che infiammano il dibattito

L’affermazione che la pace sottoscritta sia una mera firma di Donald Trump ha un duplice effetto: da un lato delegittima il processo negoziale, dall’altro suggerisce l’idea che dietro l’apparente concordia ci sia un disegno strategico ben più complesso. Implicita è la critica al ruolo del leader statunitense come architetto ultimo degli eventi internazionali.

L’ipotesi che “sia tutto finto” e che persino gli edifici distrutti siano stati costruiti per essere colpiti — secondo la tesi — è un’immagine potente e controversa, che richiama teorie cospirazioniste e alimenta il sospetto diffuso verso le versioni ufficiali. Infine, l’avvertimento che “con il primo fiammifero riparte tutto” rimette in gioco l’idea che la pace sia fragile, momentanea, e che solo un intervento brutale (o un atto scatenante) possa ridarle vigore.

Queste frasi funzionano da detonatore: polarizzano l’opinione pubblica, spingono sostenitori e detrattori a schierarsi e trasformano un intervento televisivo in un momento di confronto sociale.

Reazioni e critiche

Le reazioni sono arrivate istantaneamente. Sui social, molti hanno difeso il coraggio di Iacchetti nel rompere gli schemi del “politicamente corretto” e nel schierarsi apertamente. Alcuni utenti hanno evidenziato come, in tempi in cui i media oscillano tra neutralità apparente e sensazionalismo, servano voci che non temono la rottura dell’equilibrio. D’altra parte, non sono mancati i critici, che accusano il comico di esagerazione, strumentalizzazione e mancanza di rigore nei suoi riferimenti ai fatti.

Nel mondo politico e intellettuale, alcuni commentatori hanno preso le distanze da quella retorica: sottolineano come insinuazioni su “business della guerra” e manipolazioni architettate da poteri forti rischino di alimentare sfiducia e diffidenza verso ogni mediazione.

Anche Mizrahi non è rimasto in silenzio: ha definito Iacchetti “monologo”, accusandolo di non lasciare spazio al confronto. Secondo lui, il comico non avrebbe voluto dibattito, ma una tribuna.

Tra spettacolo e responsabilità

Il caso Iacchetti pone una domanda più ampia: quale ruolo può e deve avere un personaggio televisivo, specialmente quando tocca questioni geopolitiche e umanitarie? È lecito usare toni forti? Fino a che punto la satira, il comico o l’opinionista possono spingersi senza essere ridotti a strumenti di propaganda?

Da un lato, l’intervento è un esempio di giornalismo partecipativo, in cui la voce dell’ospite — anche se celebre — diventa motore del dibattito. Dall’altro, rischia di trasformarsi in spettacolo emotivo, dove l’effetto polarizzante prevale sulla riflessione.

In ogni caso, la sua affermazione — quella che dubitava delle stesse fondamenta della pace — è diventata un grimaldello per riaprire discussioni sul potere, l’informazione e la verità.

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