Ancora una volta sul banco degli imputati. Dopo 3 anni, 2 mesi e 20 giorni Anna Maria Franzoni torna stamattina nel tribunale di Torino. Non per l’omicidio del figlio Samuele di soli 3 anni – per il quale sta già scontando 13 anni nel carcere della Dozza a Bologna – ma per il cosiddetto «Cogne bis». Due parole per definire il processo che la vede incriminata per calunnia nei confronti del vicino di casa Ulisse Guichardaz.
Stavolta il can-can mediatico è decisamente meno intenso rispetto al processo per il delitto. Allora c’era una folla di curiosi che anelava ad assistere direttamente al dibattimento. Che voleva vedere la mamma-assassina di persona. La coda era talmente lunga da indurre i più pragmatici ad organizzare la distribuzione dei biglietti con il numero d’arrivo, come dal salumiere. Oggi chissà.
La storia oggi è meno intrigante, anche se pur sempre inquietante e ricca di punti da chiarire. Secondo il pm Giuseppe Ferrando, quando Anna Maria, nel 2004, firmò la denuncia in cui si indicava Guichardaz come autore del delitto sapeva di stare accusando un innocente. Ecco scattare, quindi, la denuncia per calunnia. Secondo la difesa invece (avvocati Paola Savio e Lorenzo Imparato) Anna Maria non desiderava denunciare il vicino, ma voleva solo che si indagasse su di lui.
Per non parlare, poi, dell’ex avvocato della Franzoni, il professor Carlo Taormina. Inizialmente anche su di lui era stata avviata un’indagine per calunnia, ma il suo caso venne archiviato poiché, come spiegò lui stesso ai magistrati credeva in buona fede che la Franzoni sarebbe stata scagionata. E i suoi collaboratori, nonostante gli errori «inescusabili», l’«imbarazzante pressapochismo» e le negligenze «macroscopiche» (parole della procura), non avevano «propositi fraudolenti». Ma come si svolsero i fatti quando la Franzoni firmò la denuncia? Il marito della donna, Stefano Lorenzi, in aula ha giurato che il documento «firmato da Anna Maria è in parte diverso da quello poi portato avanti dal professor Taormina: era stato aggiunto altro a penna». È la verità?

Anna Maria Franzoni era consapevole delle accuse contro Guichardaz? Secondo lo psichiatra Ugo Fornari, che è stato interrogato la scorsa settimana come teste della procura, la denuncia fu dettata dall’esigenza «psicologica di trovare un capro espiatorio, un assassino per la morte del figlio Samuele. Perché se Anna Maria Franzoni arriva ad ammettere di essere colpevole, si suicida». E anche qui la domanda d’impone: è la verità? Stamani Anna Maria fornirà la sua versione. Racconterà la sua verità, di fronte al giudice Roberto Arata. Quali spiegazioni fornirà? Come si comporterà in aula? Che cosa dirà? Piangerà ancora? «Le sue sono lacrime a comando» ha affermato mercoledì scorso lo psichiatra Fornari. È davvero così?
Il 31 marzo scorso, mentre veniva interrogato, suo marito non riuscì a trattenere il pianto. Chinò il capo e si asciugò le lacrime nel ricordare il momento esatto in cui, quella mattina del 30 gennaio 2002, gli dissero che il figlio era morto. Oggi Stefano sarà di nuovo in aula, per ascoltare la deposizione della moglie. Non l’ha abbandonata. Mai, neppure per un attimo. Per la legge italiana è un’assassina. Per lui, l’oggetto del suo amore da difendere contro tutti e tutto. Nonostante Samuele non ci sia più.