In un angolo del mondo calcistico, lontano dai riflettori e dalle luci sfavillanti, esisteva un uomo che viveva il calcio con l’intensità di chi lo ha nel sangue. I suoi erano i campi fangosi delle domeniche grigie, dove ogni partita era una battaglia e ogni pareggio un trionfo. Arrivava sempre per primo, con la sua agenda logora piena di appunti e se ne andava per ultimo, chiudendo il cancello con la stessa cura con cui si custodisce un segreto.
Le sue parole erano poche, ma i suoi sguardi e i gesti parlavano più di mille discorsi. Chi lo conosceva sapeva che dietro quella calma si celava una passione ardente. Nel suo universo di maglie da lavare e lunghi viaggi in autobus, aveva costruito una seconda famiglia. Giovani calciatori, spesso alla loro prima esperienza lontano da casa, trovavano in lui una guida. Non parlava di sogni, parlava di impegno. Non prometteva gloria, ma insegnava a gestire la fatica.

La leggenda di Beniamino Cancian
Ogni promozione, ogni salvezza strappata, era una medaglia invisibile nel suo cuore. E quando la domenica giungeva, mentre lo stadio si animava e l’odore dell’erba bagnata si mescolava alle voci, lui era lì, un passo indietro. Un protagonista silenzioso, sempre presente ma mai in cerca di applausi. Il mondo del calcio piange oggi la scomparsa di un vero pilastro, un uomo che ha segnato una generazione con la sua dedizione. Beniamino Cancian, un nome che riecheggia tra i campi di Torino, Pinerolo, Mantova e Venezia. Un calciatore che ha vissuto il sogno della Serie B nel 1960 con il Torino, per poi appoggiare gli scarpini e dedicarsi alla panchina. Ma la sua storia non finisce qui.

Negli anni Settanta, Cancian si è spostato dalla linea del campo alla panchina, iniziando come vice allenatore del Torino. Ha poi preso le redini della squadra, portandola a trionfare in Coppa Italia contro il Milan. Nel 1993, ha giocato un ruolo fondamentale nella promozione del Padova in Serie A, lavorando al fianco di Mauro Sandreani. Due anni dopo, ha accettato la sfida di allenare il Foggia, collaborando con un giovane Delio Rossi e successivamente con figure come Tarcisio Burgnich e Mimmo Caso. Ha chiuso la sua carriera nella Sacilese, il club della sua città natale, concludendo un viaggio straordinario nel mondo del calcio.