Caro Totti, il tuo viaggio a Mosca? Che gran delusione!

Francesco, ma davvero? Proprio tu? Proprio adesso? A Mosca, accolto da cartelloni che ti celebrano come “l’Imperatore nella terza Roma”, con tanto di tappeto rosso e riflettori puntati. Una sfilata grottesca se si pensa che quella stessa “terza Roma” è oggi sinonimo di invasione, censura, prigionia politica, bombe e sangue.

Che bisogno c’era? Che urgenza morale? Che imperativo economico ti ha spinto a farti fotografare felice, sorridente, compiaciuto, nel cuore di una capitale che da anni è diventata il simbolo della guerra in Europa? Davvero non potevi dire di no?

Hai detto che “non sei un politico, né un diplomatico”. Va bene. Ma nessuno ti chiedeva di esserlo. Ti si chiedeva una cosa molto più semplice: avere rispetto per chi ogni giorno combatte, muore, resiste. Per chi non può più tornare a casa. Per quei milioni di persone – donne, bambini, anziani – strappati alla loro terra.

Non è una questione ideologica, Francesco. È una questione di dignità. Di misura. Di buon senso. Non ti si chiede di schierarti, ma almeno di non farti usare. Perché, piaccia o no, chi oggi va a Mosca per farsi applaudire finisce inevitabilmente per diventare parte del gioco della propaganda. Una pedina dorata, in una scacchiera tragica.

E allora la domanda resta lì, inchiodata al buon senso: ne valeva la pena? Così fondamentale era quell’assegno? Non arrivi a fine mese? Non riesci a pagare gli alimenti a Ilary? Hai finito i contratti pubblicitari? Davvero non c’era un altro modo, un altro evento, un’altra passerella?

Per anni sei stato un simbolo. Di Roma, certo. Ma anche di un modo leale, generoso, istintivo di vivere lo sport. Hai rifiutato milioni per restare fedele alla tua maglia. E adesso, a quarantotto anni, perché questo voltafaccia? Cosa resta di quella coerenza?

Caro Francesco, chi ti ha amato – sportivamente, umanamente – oggi resta con l’amaro in bocca. Ti sei fatto testimone involontario di un regime, senza nemmeno rendertene conto. E la cosa peggiore è che forse, in fondo, non te ne importa nemmeno.

Che dispiacere. Che occasione sprecata. Che grande, inutile delusione.

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