“Ecco la prova che cercavamo”. Garlasco, del caso: cosa hanno in mano i pm

Il delitto di Garlasco è uno dei casi più intricati e discussi della cronaca italiana degli ultimi decenni. Era il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi, una ragazza di 26 anni, fu trovata senza vita nella sua abitazione di via Pascoli, a Garlasco, in provincia di Pavia. L’omicidio sconvolse

l’Italia intera per la brutalità dell’aggressione e per l’apparente mancanza di un movente. Da allora, la vicenda ha generato anni di indagini, processi e controperizie, fino alla condanna definitiva di Alberto Stasi, il fidanzato della vittima, nel 2015. Tuttavia, la certezza giudiziaria non ha mai messo a tacere i dubbi di chi ha sempre sostenuto che alcune prove fossero state trascurate o male interpretate.

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A distanza di diciotto anni da quel giorno, il nome di Chiara Poggi torna al centro dell’attenzione giudiziaria, con una nuova inchiesta che potrebbe riscrivere la storia di uno dei processi più mediatici d’Italia. La procura di Pavia, oggi guidata da Fabio Napoleoni, ha riaperto le indagini sulla base di nuove perizie scientifiche e di una traccia che, se confermata, potrebbe ribaltare ogni certezza acquisita. Si parla di un’impronta di scarpa, un dettaglio che per anni è rimasto sullo sfondo, ma che ora diventa protagonista di un possibile nuovo scenario investigativo.

Il caso, già complesso e controverso, si intreccia inoltre con una seconda indagine che coinvolge magistrati e uomini delle forze dell’ordine. Una rete di relazioni e sospetti che tocca l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, accusato di aver gestito in modo opaco parte delle indagini e di aver avuto rapporti ambigui con alcuni imprenditori. Le due inchieste – quella sul delitto di Garlasco e quella sul cosiddetto “Sistema Pavia” – avanzano parallelamente, con incroci che stanno sollevando più di una perplessità sul passato giudiziario pavese.

Un’impronta può cambiare la storia del delitto di Garlasco. E accusare Andrea Sempio, al posto di Alberto Stasi. Si tratta dell’impronta di scarpa a pallini macchiata dal sangue della vittima. La misura è 42 e Sempio porta il 44. È uno degli elementi di prova che hanno portato la procura di Pavia a ipotizzare un omicidio in concorso per la morte di Chiara Poggi. Una perizia, oggi in mano ai pubblici ministeri, sostiene che la scarpa Frau fuori commercio con suola prodotta nelle Marche potrebbe essere stata calzata proprio da Sempio. Nel frattempo, gli inquirenti stanno indagando anche sugli uomini dell’ex procuratore Venditti, soprattutto dopo la scoperta di spese di gioco d’azzardo incompatibili con i loro stipendi.

Venditti, dal canto suo, ha rifiutato di consegnare i codici di accesso a computer e smartphone il giorno del sequestro. Il suo legale ha spiegato che l’ex procuratore era disposto a collaborare solo se gli accertamenti si fossero limitati all’inchiesta di Garlasco, ma la Guardia di Finanza ha respinto la proposta. Ora gli apparati elettronici saranno analizzati forzando i sistemi di sicurezza, a meno che il tribunale del Riesame non decida di annullare il sequestro. Intanto, l’avvocato Domenico Aiello, difensore di Venditti, ha chiesto che entrambe le indagini – quella di Pavia e quella di Brescia – vengano riunite sotto un’unica procura per evitare sovrapposizioni.

Il nodo centrale resta quello dell’impronta numero 42, quella che, secondo i nuovi accertamenti, sarebbe stata lasciata dall’assassino la mattina del 13 agosto 2007. «Quel pizzino “20-30 euro Gip archivia” non è stato trascritto nel decreto come dovuto», ha dichiarato Aiello, sostenendo che manchino parti fondamentali del documento. Secondo il legale, «si è iscritto un magistrato nel registro degli indagati senza avere evidenze, indizi o prove certe, sperando in un’acquisizione onnicomprensiva della sua vita».

Parallelamente, emergono dettagli inquietanti sul comportamento di alcuni carabinieri coinvolti nell’inchiesta. Uno di loro, il maresciallo Antonio Scoppetta, avrebbe speso quasi 47 mila euro in scommesse, con cifre annue tra i 30 e i 35 mila euro, mentre un altro, Silvio Sapone, avrebbe destinato «mille euro al mese presso un centro Snai». Entrambi, insieme al collega Giuseppe Spoto, avevano partecipato all’installazione delle microspie sulle auto dei Sempio nel febbraio 2017. Proprio Spoto si era occupato delle trascrizioni delle intercettazioni, ammettendo di aver sintetizzato alcune frasi «perché Venditti aveva fretta di chiudere l’archiviazione».

La Guardia di Finanza ha poi passato al setaccio i conti di Venditti, senza rilevare anomalie, ma il magistrato è già finito sotto la lente per i suoi legami con i fratelli Raffaele e Cristiano D’Arena, titolari del celebre ristorante “Da Lino”. Il locale, frequentato da magistrati e appartenenti alla polizia giudiziaria, era anche collegato alle società CR Service e Esitel, che gestivano in monopolio le intercettazioni e il noleggio auto per la procura. Secondo l’accusa, da queste aziende Venditti e il collega Pietro Paolo Mazza avrebbero ricevuto benefici personali, completando così un quadro di relazioni torbide che si intreccia ancora una volta con la vicenda di Chiara Poggi.

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