
Il mistero della borsa bianca rinvenuta nel canale di Garlasco, a poca distanza dal luogo in cui Chiara Poggi fu uccisa, è uno di quegli elementi rimasti ai margini dell’inchiesta ufficiale, ma che oggi, con la riapertura del caso da parte della Procura di Pavia, torna a sollevare interrogativi. Correva il 24 agosto del 2007, undici giorni dopo il delitto che avrebbe segnato per sempre la tranquilla cittadina pavese, quando una coppia di lavoratori agricoli trovò una borsa nell’acqua, durante un giorno di lavoro nei campi. La donna, che oggi ha scelto di parlare alla trasmissione “Mattino 5”, ricorda ogni dettaglio di quel momento che le cambiò la giornata, e forse avrebbe potuto cambiare anche il corso delle indagini.
Cristina, questo il nome della testimone, racconta di aver visto qualcosa galleggiare tra le erbacce del canale. “Era una borsa bianca, all’inizio non ci ho fatto troppo caso, poi ho avuto paura che qualcuno ci avesse gettato dei cuccioli. Così ho deciso di aprirla”, ha dichiarato alle telecamere. Dentro, ad attenderla, c’erano abiti sporchi, impregnati di una sostanza rossastra. “Mi sembrava sangue”, ha raccontato, spiegando che si trattava di indumenti di marca: due canottiere, tre pantaloni (due da uomo e uno da donna) e un paio di scarpe. Tutti capi ben riconoscibili, non certo oggetti che qualcuno avrebbe buttato via senza motivo.
Garlasco, una testimone a Mattino 5 parla dei vestiti
Il ritrovamento avvenne a meno di due settimane da quella tragica mattina del 13 agosto, quando Chiara fu trovata senza vita nella villetta di famiglia in via Pascoli. Eppure, nonostante la tempistica e la vicinanza al luogo del crimine, quegli abiti non vennero considerati rilevanti. Gli investigatori dell’epoca sottoposero i capi a tutte le analisi di routine: il luminol, il combur test, i tamponi alla ricerca di materiale biologico. Ma nulla. Nessuna traccia di sangue, nessun DNA, nessun indizio che potesse collegare quei vestiti a Chiara, al suo assassino o a qualcuno coinvolto nei fatti.

Quello che però continua a lasciare perplessi è il contesto del ritrovamento: una borsa abbandonata in piena campagna, con abiti perfettamente riconoscibili ma visibilmente sporchi. Non erano stracci, ma indumenti firmati, e nessuno — né allora né in seguito — li ha mai reclamati. Nessun negozio ha denunciato un furto, nessun residente li ha identificati come propri, e nessuna prova ha portato a risalire a chi li avesse gettati. Il gesto rimane inspiegabile: perché disfarsi di vestiti costosi, e perché proprio in quel luogo?

Negli anni, questo episodio è rimasto ai margini della narrazione ufficiale, liquidato come una coincidenza. Ma con l’attuale riapertura dell’indagine, che ha riportato alla luce anche altre piste finora considerate secondarie, alcuni osservatori si chiedono se non sia il caso di tornare su quel dettaglio con un approccio diverso. Anche perché la nuova inchiesta sembra voler ricostruire con più attenzione i movimenti intorno alla villetta di via Pascoli e all’intera area circostante nelle ore e nei giorni successivi al delitto.
Il mistero della borsa resta quindi aperto. E forse, con le tecnologie odierne e con un’attenzione mediatica rinnovata, potrebbe finalmente trovare una spiegazione. Perché in un’indagine come quella di Garlasco, ogni dettaglio — anche il più marginale — potrebbe rappresentare il tassello decisivo.