Meloni al Senato: “Io, patriota. La libertà ha un prezzo”: lo scontro durissimo con Renzi

Giorgia Meloni sale al Senato con il tono di chi sa di avere il potere, ma anche la responsabilità. E nel primo question time a Palazzo Madama, rinviato il 23 aprile per la morte di papa Francesco, si presenta con piglio deciso. Risponde ai quesiti, rilancia sul premierato, incassa frecciate e le restituisce con gli interessi. Carlo Calenda e Matteo Renzi i più velenosi. Ma lei si difende, anzi attacca. E lo fa da quella posizione in cui si sente più a suo agio: la leader patriota che parla al popolo, anche quando risponde al Senato.

Difesa e orgoglio nazionale: “Non saremo mai una nazione di serie C”

Il cuore del suo intervento è tutto lì, nel primo tema caldo sollevato da Calenda: la spesa militare. Meloni non tentenna. “Ribadisco con coerenza da patriota che la libertà ha un prezzo. Se fai pagare a un altro la tua sicurezza, non sarai tu a decidere del tuo destino”. Una frase che sa di manifesto programmatico.

Poi l’affondo: “Se pensiamo di affrontare questa fase della storia con un esercito che ha una media di 59 anni e scarse capacità operative, diventiamo una nazione di serie C“. L’Italia, assicura la premier, raggiungerà il target del 2% del Pil per le spese militari nel 2025, onorando gli impegni in sede Nato. E chiede un’Europa più protagonista sul piano militare: “È necessario costruire un pilastro europeo della Nato”. Ma avverte: «2È ora che l’Alleanza atlantica guardi anche al fianco Sud”, evocando le minacce ibride provenienti dal Mediterraneo e dal Nord Africa.

“Non abbiamo i campioni, ma l’Italia farà la sua parte”

Meloni non nasconde che l’Italia non è una superpotenza militare. Ma rivendica una visione strategica: “Non abbiamo i mezzi delle grandi potenze, non possiamo contare su armamenti all’avanguardia in ogni settore, ma possiamo essere un Paese serio, credibile, capace di difendere i propri interessi e quelli degli alleati”. L’approccio è quello della realpolitik: fare sistema, consolidare le alleanze, investire dove serve, senza fingere di essere ciò che non si è. Ma anche senza restare indietro.

Poi la leader di Fratelli d’Italia torna sul suo cavallo di battaglia: il premierato. “Sta andando avanti. Continuerò a considerarla la madre di tutte le riforme. La maggioranza è intenzionata a procedere spedita”. E sulla giustizia ribadisce la linea garantista, promettendo tempi rapidi. Ma proprio su questo punto si consuma lo scontro più feroce della seduta.

Il duello con Renzi: Bibbiano, incoerenze e frasi al vetriolo

Matteo Renzi ha il dente avvelenato: “Presidente Meloni, ha promesso una riforma della giustizia garantista. Detto da voi fa quasi ridere. Se volete cambiare, andate prima a chiedere scusa a Bibbiano. Lì vi stanno ancora aspettando per il vostro giustizialismo”. E poi il crescendo polemico: “Dall’euro alla Nato, da Putin alle trivelle. Lei è campionessa mondiale di incoerenza. Su cosa la giudichiamo se cambia idea su tutto?”.

La replica è di quelle che gelano l’emiciclo: “Mi ha chiesto se mi dimetterei in caso di bocciatura del referendum? Lo farei anche volentieri, ma non farei mai nulla che abbia già fatto lei“.

Femminicidio e Parlamento: “Lì si potrà migliorare il ddl”

Rispondendo a Julia Unterberger, Meloni ha lasciato uno spiraglio per migliorare il testo contro il femminicidio: “Il Parlamento potrà apportare tutte le modifiche che riterrà opportune. Quella è la sede per ampliare lo spettro del reato”. Una dichiarazione che mostra apertura, ma anche fermezza istituzionale, secondo il classico schema meloniano: governo guida, Parlamento perfeziona.

Un dettaglio non è sfuggito agli osservatori: i vicepremier Tajani e Salvini non c’erano. Meloni ha gestito l’aula circondata da fedelissimi e ministri tecnici, ma l’assenza dei due vice non passa inosservata. È un caso? Un segnale? Per ora, solo una nota a margine. Ma la stagione delle riforme è appena cominciata, e i silenzi a volte pesano più delle parole.

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