Sinner infuriato con Federica Pellegrini: “Cosa penso di lei”

Jannik Sinner non tende la mano, non chiarisce, non ricuce. Nell’intervista al Tg1, il numero uno del tennis mondiale risponde alle insinuazioni che gli sono piovute addosso durante i mesi bui del caso doping. E lo fa con parole affilate, che hanno il peso e il sapore di un attacco diretto. “Ognuno è libero di dire quel che vuole”, esordisce. Poi cala il gelo: “L’importante è che io so cosa è successo. Non auguro a nessuno di vivere da innocente una cosa del genere”.

Non serve nemmeno nominarla. Il bersaglio è Federica Pellegrini, e lo sanno tutti. Le sue dichiarazioni sul presunto “trattamento speciale” riservato a Sinner vengono seppellite sotto una replica che non lascia spazio a equivoci. Il campione non si difende: colpisce. Le parole della Divina non solo lo hanno ferito, ma umiliato pubblicamente in uno dei momenti più difficili della sua carriera. E oggi risponde con la freddezza di chi non ha alcuna intenzione di perdonare.

Sinner racconta il suo calvario con lucidità, ma senza nascondere la rabbia. “Sì, ho pensato di mollare tutto. Prima dell’Australian Open non ero felice. Sapevo che quel caso era ancora lì, pesante, aperto”. L’atmosfera era diventata tossica. “Nello spogliatoio, a tavola, ovunque… i giocatori mi guardavano in modo diverso. Non mi sentivo più me stesso”. E non è stato solo un disagio personale: è stato l’isolamento di un uomo marchiato da un sospetto.

Non era il tennis a fare male, ma lo sguardo degli altri. “Ero uno che scherzava con tutti. Poi ho detto: stacco un po’, magari mi fa bene”. La decisione di non giocare a Rotterdam nasce da lì, da una voglia che si era spenta sotto il peso del giudizio altrui, amplificato da chi, come Pellegrini, ha scelto di metterlo in discussione davanti all’Italia intera.

“Tre mesi sono troppi. E senza colpa”
La ricostruzione è chiara. “Quando ho saputo delle tracce di clostebol, non capivo. Non sapevo nulla. Abbiamo cercato subito di capire, poi abbiamo deciso con l’avvocato di accettare”. Una scelta dolorosa, ma inevitabile, di fronte alla prospettiva di uno scontro legale senza fine. “Ho sempre pensato: non ho fatto nulla. E allora perché dovevo pagare?”.

Una domanda che brucia ancora. “Tre mesi sono troppi, soprattutto per chi è innocente”. E qui torna la polemica, quella vera, quella non detta ma che trasuda da ogni parola. Perché chi lo ha giudicato senza conoscere i fatti, chi ha insinuato pubblicamente dubbi sulla sua correttezza, si è preso il lusso di parlare da un piedistallo, mentre lui stava affondando. E Sinner non glielo perdona.

Il campione ha spiegato che, nonostante abbiano identificato rapidamente la fonte della contaminazione, accettare la squalifica non è stato facile. “Avevo la testa piena di domande: se non ho fatto nulla, perché devo pagare? Ma dopo un confronto concreto con l’avvocato, abbiamo deciso di andare verso l’accordo. È stato un anno durissimo”.

“Ho ritrovato la forza grazie alla mia bolla”
Infine, Sinner ha parlato del suo ritorno in campo: “In campo non mi sentivo più io, e allenarsi ogni giorno senza divertirsi è devastante. Ma ho avuto la fortuna di avere accanto persone che mi hanno creduto, che mi hanno protetto, e con loro ho creato una bolla dove nessuno poteva entrare. Da lì ho ricominciato, con l’obiettivo dei Grand Slam, perché so che ho ancora tanto da dare”.

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