
Roma, 26 aprile 2025 – In morte, Papa Francesco ha realizzato il suo miracolo più difficile: mettere d’accordo i potenti di mezzo mondo, almeno per il tempo di una cerimonia. A Piazza San Pietro, è andato in scena un vertiginoso spettacolo di omaggi, lacrime calibrate e dichiarazioni d’amore per il Papa che, in vita, era stato messo regolarmente da parte, contraddetto, ostacolato.
Quando il vangelo va bene solo da morto
Tutti devoti, tutti francescani: il presidente guerrafondaio, il premier che chiude i porti, il campione della finanza che ignora i poveri. Nell’ora del funerale, i discorsi si sono fatti dolci come miele: “campione della pace”, “voce degli ultimi”, “coscienza del mondo”. Nessuno, a quanto pare, si ricordava più che Papa Francesco aveva passato il suo pontificato a denunciare la fame, le guerre, le diseguaglianze generate proprio da chi oggi, impeccabile in abito scuro, si batteva il petto con commozione da manuale.
Una scenografia perfetta per dimenticare in fretta
Delegazioni sontuose, sfilate di dignitari, capi di stato sorridenti tra loro: sembrava quasi una prima cinematografica. La coerenza? Un dettaglio trascurabile. Nessuno si è sentito a disagio ad onorare colui che invitava a “costruire ponti e non muri”, anche se molti dei presenti di ponti ne hanno abbattuti parecchi, e di muri ne hanno alzati più di uno, fisici e morali. Basta un tweet ben calibrato, una frase sdolcinata davanti ai microfoni, ed ecco che la coscienza torna immacolata come una tunica papale.
Francesco li guarda dall’alto, forse scuotendo la testa
La verità è che Papa Francesco lascia un’eredità che pesa. Un’eredità di parole vere, di scelte difficili, di inviti a cambiare rotta rivolti proprio a quei leader che oggi si affrettano a recitare il loro ruolo nella liturgia dell’ipocrisia. Ma la scena di oggi ha un merito: ci ricorda quanto sia facile rendere omaggio a un testimone scomodo, purché non possa più parlare.